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Hippana: il fascino del mito, la crudezza della realtà

A metà strada tra le città di Palermo e Agrigento, di fronte a Prizzi, piccolo gioiello incastonato tra i monti Sicani, si erge una montagna gemella: “ a Muntagna”. Per il prizzese è semplicemente “la Montagna”. Il suo nome è, però, Monte San Lorenzo, forse per via di una chiesa medievale consacrata al santo di cui non resta praticamente più nulla.
E’ chiamata anche “Montagna dei Cavalli” senza che ne sia chiaro il motivo. Archeologi e storici tendono ad identificarla con Hippana, antico importante centro della Sicilia interna alleato dei cartaginesi e distrutto nel 258 a.C. dai consoli romani Aulo Atilio e Caio Sulpicio nel corso della prima guerra punica.
E’ Polibio che ne parla per primo: “[…] gli eserciti romani […] rivolsero allora il loro impeto contro la città di Ippana che presero d’assalto […]” (1).
La posizione strategica, al centro dello snodo che metteva in comunicazione i più importanti centri dell’epoca, e l’altitudine (1007 metri s.l.m.), che la poneva nelle condizioni di controllare un ampio tratto di territorio, erano le condizioni ideali per una vivace fioritura di quel centro tanto distante dal mare.
La vita di Hippana comincia presto: un primo insediamento arcaico, sicano, è già presente nel VII secolo a.C.
Tra il IV e il III secolo a.C. è un fiorente centro che commercia coi greci. Da questi importa, oltre alle merci, costumi e cultura. Come i greci costruisce un’acropoli, sulla parte più alta, con l’agorà, almeno un luogo di culto, le abitazioni dei capi. E’ un’acropoli cinta da un muro fortificato.
L’abitato si estende per oltre 30 ettari(2) tra l’acropoli, cinta da un muro fortificato, e un muro di fortificazione esterno largo fino a due metri(3). Quasi certamente vi è una zecca, di sicuro un teatro la cui cavea ha un diametro di 52 metri . Tra i due muri di fortificazione, altri muri, che terrazzavano il declivio, venivano verosimilmente usati come ulteriori contrafforti intermedie. La fortificazione esterna era interrotta da diverse porte (almeno tre) difese da torri.
Le necropoli, poste a ovest fuori dalla fortificazione esterna, erano ricche e ben tenute. Molte tombe erano a fossa, alcune monumentali.
La prima distruzione giunse inattesa. Alleata con l’eparchia cartaginese, fu rasa al suolo dai romani(4).
Nel 1836 Crispi, convinto che su Montagna dei Cavalli si trovassero i resti di Hippana, cominciò i primi saggi. Da allora “la Montagna” ha visto molte campagne di scavi, fino agli ultimi stages coordinati dal Prof. Pietro Giordano.
La seconda continua distruzione è stata perpetrata dai tombaroli e dal disinteresse, più veloci, come sempre, di appassionati e istituzioni.
Oltre mille tombe risultano profanate(5), cumuli di terra sparsi qua e là mostrano le tracce degli scavi clandestini. …
Ad oggi, un buon numero di reperti – monete, vasi, anfore, diademi – possono essere ammirati presso il Museo di Prizzi; altri, forse, presso il Museo Archeologico Regionale(6). Esistono, probabilmente, alcune “collezioni private”.
Il grosso dei ritrovamenti, però, tra un saggio e l’altro, ha verosimilmente arricchito i tombaroli e allietato i collezionisti di reperti clandestini. All’interesse mostrato a parole dalle istituzioni forse non è corrisposto un impegno equivalente per salvaguardare e valorizzare quel tesoro. Il risultato è che un patrimonio di valore inestimabile si sta perdendo, le vestigia di una delle città più importanti della Sicilia centro occidentale antica, del periodo ellenico e punico, rischiano di scomparire per sempre dal loro luogo, dalla loro storia, dal ricordo di tutti.
Un progetto di sistemazione e di arredo degli spazi di accesso, predisposto dal Comune di Prizzi, è già stato finanziato. La predisposizione di alcuni percorsi per la fruizione dell’area è un’idea di cui si parla. Speriamo che non sia troppo tardi.

I sacerdoti stavano sacrificando a Dioniso.
Vicino al tempio, sul punto più alto dell’acropoli, un uomo all’improvviso cominciò a gridare: “I romani, sono i romani! Un esercito enorme. Vengono verso di noi!”

Ceice lasciò la mia mano. Senza scomporsi, con lo sguardo e il portamento fiero e determinato di sempre, salì sul muro della fortificazione interna, quello che cingeva l’acropoli, per scrutare l’orizzonte.
Una nuvola di polvere fitta e densa oscurava la vallata a nord ovest. Venivano da Panormo. Forse la città era già caduta, forse, invece, resisteva ancora e le truppe romane ripiegavano verso l’interno.
“Il sacrificio deve continuare – disse – ora più che mai ci occorre l’aiuto degli Dei”.
Non lo vidi più per tutto il giorno. Sentivo, però, la sua voce ferma che impartiva gli ordini ai guerrieri.
“Resisteremo anche stavolta, ragazzi, ma dobbiamo essere più decisi che mai”.
“Virbio, tu provvedi ai turni di guardia e al presidio della torre di nord ovest. Occorre fare entrare in città tutti i contadini e i mercanti e poi chiudere le porte rinforzandole… Tu, Coo, ti occupi della porta nord e tu, Trippolemo, di quella di nord est. Fortificate le torri e presidiatele come si deve. Il compito di guarnire la fortificazione esterna è di Merione. Mopso si occuperà dei viveri, rischiamo un lungo assedio. Echione penserà alle armi. E’ importante disporre di un rifornimento continuo di dardi e giavellotti. Anche la zecca dovrà costruire armi, usando le monete, se necessario. Vecchi, donne e bambini staranno sull’acropoli. Se perdiamo la posizione esterna, ripieghiamo sul primo terrapieno, poi sul secondo e così via. L’ultima difesa sarà combattuta sul muro dell’acropoli, sulla fortificazione interna. … Tutti gli uomini abili devono essere armati. … Una piccola guarnigione resterà sull’acropoli: da lì farà anche da vedetta. Il grosso dei fanti dovrà posizionarsi a ridosso del muro esterno, soprattutto nei pressi delle porte. … Gli arcieri sul muro, da subito. … Io sarò con loro, darò io gli ordini. … Tu, Niceto, con un gruppo di contadini, i meno valenti, disponiti sul lato sud, sull’orlo della rocca, dal lato del fiume. E’ troppo ripido, da lì non mi aspetto attacchi …. Liberate i cavalli, qua non servono e il foraggio non è abbastanza per loro. La porta di sud-est sarà presidiata da Dersor, ai suoi ordini ci sarà un drappello di incursori, potrà essere utile tentare di là qualche sortita”.
Lo rividi all’imbrunire. Stanco ma determinato. Avrebbe trascorso la notte coi suoi comandanti, mi disse.
“Questa volta sarà difficile, Aura. Sono troppi. Hanno deciso di eliminare tutti gli alleati di Cartagine. Forse ce la faranno, ma Hippana venderà cara la pelle”.
“Prova a parlamentare coi romani, manda un’ambasciata. Sei un abile oratore, potresti trovare un accordo!”
“Aura, ti prego … Abbiamo sangue sicano, siamo stati amici dei greci e alleati dei cartaginesi, un tempo ospitammo mercenari campani e ci unimmo a loro … Questi sono diversi. Non sono filosofi e neppure mercanti. Sono guerrieri e conquistatori. Non si accontenteranno di averci alleati, ci vorranno schiavi. … Meglio perire sotto il ferro che sotto il giogo …”
Non riuscii a trattenere le lacrime.
“Ci vorranno almeno due giorni perché giungano qua. Altrettanti per completare l’assedio, se non decidono di travolgerci subito. … Devi fare come ti dico, senza ribattere. Devi farlo per te, per me, per il bambino che porti in grembo. E devi farlo per questa gente, per la gente di Hippana, perché non perisca del tutto. …”
“Sotto la rocca dell’acropoli, a sud, verso il corso del fiume c’è una grotta. La conosci, è quella che ci ha visti, per prima, innamorati. Nessuno sa che ci sia, l’ingresso è nascosto. Non la troveranno neppure i romani. … C’è acqua abbondante, gocciola sempre dalla roccia del soffitto e riempie una buca, proprio al centro del pavimento. … Prendi le donne e i bambini, porta più viveri che puoi. … Hai meno di due giorni. … Non dovrete uscire per nessuna ragione. Verrò a prendervi io, se sarò ancora vivo. Se non vedi nessuno, aspetta. Dovranno passare almeno sette giorni e sette notti dall’ultimo tonfo della battaglia …”
Obbedii, non mi restava che obbedire.

(HIPPANA VISTA DAL C.A.O.S)

Sono trascorsi molti anni ormai.
L’ho chiamato Ceice, come suo padre. Come lui ha lo sguardo fiero e determinato.
Ora abitiamo l’altro monte, il gemello di fronte, il monte dei fuochi(7).
Ma non dimentico la fine di Hippana. …
Erano passati almeno trenta giorni da quando ci rifugiammo nella grotta, poco meno da quando cominciammo a udire i tremendi rumori della battaglia.
Era spaventoso. Neppure la notte portava il silenzio.
Alle grida di guerra, atroci e paurose, si alternava il crepitio del fuoco, angosciante.
Troppi giorni e troppe notti. L’alba dell’ultimo si era svegliata in silenzio.
Avevo portato con me alcune donne – non tutte mi avevano voluto seguire – e molti bambini.
Non ci fu tempo per assaggiare la gioia della luce del sole. La città non era stata soltanto sconfitta, semplicemente non esisteva più. Il teatro, le torri, il tempio, la zecca, ogni casa, anche la più umile … tutto raso al suolo. Non è facile descrivere quello che si vedeva dal pendio che stavamo lentamente percorrendo in salita. Tutto era un cumulo di macerie informi e fumo, nero e denso.
Ma dentro, oltre i resti delle mura esterne della città, quelle che dovevano servire a difenderla, lo spettacolo era di gran lunga peggiore.
Impedii ai bambini di entrare in quella che era stata la loro patria, lo impedii anche alle donne incinte. Solo io e le donne più anziane attraversammo quel che restava della porta di nord est.
Lo spettacolo non era di quelli che si possono raccontare, né posso descrivere i fiumi di lacrime che versammo.
Ci occorsero montagne di giorni, foreste di legna, mondi di fuoco per onorare i morti.
Solo quei bimbi che aspettavano fuori – e quelli che aspettavano dentro – poterono costringerci a vivere, a ricominciare.
E ricominciammo qui, sulla montagna dei fuochi, più in alto di prima, con la speranza che mai più alcuna guerra ci rubi agli affetti, alla vita.

(1) Polibio I, 24, citato da Stefano Vassallo, Montagna dei cavalli, in Di terra in terra, Nuove scoperte archeologiche nella provincia di Palermo, Museo Archeologico Regionale di Palermo, 18 Aprile 1991, p.118. La medesima citazione ricorre praticamente in ogni lavoro, storico o archeologico, che si è occupato del sito. Importante, soprattutto per quanto riguarda la ricostruzione storica – e non soltanto di Hippana – il saggio del Prof. Carmelo Fucarino, Stratigrafia del comune dirizzi come metafora dell’isola, Vol.I, Comune di Prizzi, 2005.
(2) Cfr. Stefano Vassallo, Ricerche a Montagna dei cavalli, Scavi 1988-1991 a Montagna dei Cavalli-Hippana, in Archeologia e territorio, G. B. Palumbo Editore, Palermo, 1997, p.279.
(3) Cfr. Stefano Vassallo, Montagna dei cavalli, in Di terra in terra, op. cit., p. 123.
(4) Il Prof. Fucarino nel suo libro Stratigrafia del comune di Prizzi, op. cit., sulla scia del Collura, suggerisce la possibilità di una prosecuzione dell’esistenza dell’abitato di Hippana anche in epoca successiva alla prima guerra punica.
(5) Cfr. ivi, p. 124, nonché Adelaide Spallino, http://www.comune.prizzi.pa.it/museo/pagina_hippana.htm,
(6) Cfr. Maria Antonietta Castiglione, Ricerche a Montagna dei cavalli,La ceramica a vernice nera, in Archeologia e territorio, op. cit, p. 307, nota 1).
(7) Prizzi sembra debba il suo nome al vocabolo arabo Piryzen, fuoco. Sembra che il monte, sul quale intanto si andava costituendo il piccolo centro, in epoca bizantina ed araba fosse inserito in un sistema di comunicazioni che, attraverso segnali di fuoco, consentiva di interagire con gran parte del territorio della Sicilia centrale. In questo breve racconto, come appare evidente, si tiene conto solo in parte della reale ricostruzione storica dei fatti che concernono la fine di Hippana (che sembra essere stata distrutta al primo assalto) e la nascita di Prizzi la cui collocazione cronologica sembra più spesso riportata all’epoca bizantina o araba. Per la ricostruzione storica si rimanda all’ormai “obbligatorio” Stratigrafia del comune di Prizzi, del Prof. Fucarino, op. cit.

Ringraziamo per questo contributo NINO GRECO

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